Come è nata l'idea di dare vita a Elemaster L'INTERVISTA
Gabriele Cogliati, ceo e presidente del Gruppo Elemaster, un vero self made man.
«Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui». La frase del grande poeta e saggista americano Ezra Pound, che campeggia sulla parete dell'ufficio di Gabriele Cogliati, ceo e presidente del Gruppo Elemaster, ben si adatta alla storia di questo self made man. Sì, perché il presidente della multinazionale tascabile di Lomagna per le sue idee ha rischiato, ha continuamente alzato il livello della competizione e oggi la sua azienda è diventata un punto di riferimento, un leader a livello internazionale nella produzione e progettazione di apparati elettronici ad elevato contenuto tecnologico.
Come è nata l'idea di dare vita a Elemaster?
«Da una forte aspirazione, quella di mettersi in gioco e provare a fare di più e meglio, alla quale hanno fatto seguito una grande passione per le tecnologie elettroniche, un forte amore per il lavoro e una volontà perseguita giorno per giorno. Il sogno è stato il seme, ma solo la perseveranza ha permesso che spuntasse un germoglio, cresciuto negli anni. La fatica e la dedizione mia e di mia moglie, dei primi collaboratori e soci, e di quanti a seguire hanno fatto parte della squadra condividendo con noi l'impegno quotidiano, la visione i valori, hanno consentito alla piccola Elemaster di diventare la realtà multinazionale di oggi».
I brianzoli sanno fare sistema?
Elemaster - insieme ad altri campioni nel mondo dell'imprenditoria brianzola come Technoprobe di Cernusco, Fomas di Merate, Beretta di Barzanò - è la punta di diamante del sistema manifatturiero made in Brianza, ma sono anche da traino per il territorio? Fanno sistema?
«Sono imprese che hanno una storia autonoma, sono realtà nate da un'idea e dall'intuizione innovativa di un singolo. La nostra intuizione è stata quella di aver offerto prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico ed a costi competitivi. Questa unicità poi è stato il fattore differenziante che ha trasformato l'azienda in una piccola multinazionale. Ovviamente se queste aziende di riferimento sono cresciute e si sono sviluppate lo si deve anche al contesto favorevole del territorio, con forte vocazione industriale e alla presenza del Politecnico e del Cnr, che hanno permesso a tante imprese di fare un salto di qualità e dimensionale».
Uno dei segreti: trovare una nicchia di mercato?
«Sì. Quando ho iniziato c'era tutto il mondo che ci aspettava. Eravamo nel periodo post bellico e negli Anni Settanta si iniziava ad avvertire il bisogno di tecnologie avanzate. Siamo stati bravi a trovare questa nicchia di mercato e abbiamo conquistato il mondo con la capacità di esprimere prodotti e servizi unici. Adesso, a distanza di quarant'anni, dobbiamo essere bravi a conservare le posizioni perché la competizione è globale. Fino ad oggi ci siamo riusciti perché in Brianza c'è una cultura del lavoro unica, che si traduce in dedizione quotidiana, spirito di sacrificio, visione di medio lungo/periodo, pianificando le cose non per ottenere un guadagno immediato ma magari anche fra anni. Sono queste le logiche che stanno alla base della vita imprenditoriale; le speculazioni finanziarie non devono mai avere il sopravvento».
Entrata nel fondo... e ritorno
A proposito di finanza circa dieci anni fa nel capitale di Elemaster fece entrare un fondo, ma poi decise di ricomprare la quota. Perché?
«Sì, avevamo ceduto il 20% delle quote ad un Fondo di Private Equity, è stato un periodo molto sfidante e positivo, con il loro stimolo e supporto oggi abbiamo un’organizzazione tipica di un‘azienda quotata in Borsa. Alla fine del percorso abbiamo deciso di ricomprare le quote perché questa azienda è la nostra vita. Avevamo la possibilità di seguire il fondo per una successiva vendita di Elemaster, ma non ce la siamo sentita di fare questo passo».
Quali sono i valori della sua azienda?
«Il principale è quello di aver saputo mantenere alto il rispetto umano, perché la nostra è una cultura che ha profonde radici cristiane e contadine: la famiglia costituisce un grande valore, l'etica negli affari è imprescindibile, il reciproco rispetto irrinunciabile. Questi valori ci hanno permesso di mantenere un rapporto virtuoso con tutti gli stakeholder. Inoltre da noi in Brianza si respira una diffusa cultura del fare e pure il lavoratore è un imprenditore di se stesso. Il lavoro per noi è sinonimo di realizzazione».
Il rapporto coi collaboratori sembra molto virtuoso
«Fino a vent'anni fa conoscevo tutti i dipendenti e le loro famiglie. Poi siamo cresciuti e questo rapporto diretto c'è ancora ma è più difficile da instaurare e mantenere, soprattutto all'estero. Settimana scorsa ero negli States e la prima cosa che ho fatto è stata quella di indire una riunione con tutti i collaboratori per comunicare a loro le strategie e i punti salienti del piano industriale 2018-2020: è stato un momento molto significativo e gratificante, dove ognuno ha dato il proprio contributo di idee e dove sono emersi anche molti aspetti personali».
E produce anche migliori risultati per l'azienda. Giusto?
«Credo sia un vantaggio reciproco, l’azienda è un bene che deve essere preservato da tutti coloro che vi operano. Cerchiamo di far capire ai dipendenti come cambia il mercato, come le esigenze dei clienti mutano spesso anche nell'arco della stessa giornata e come la nostra mission sia proprio il servizio al cliente. Quarant'anni fa i cambiamenti avvenivano in modo molto più lento, oggi non possiamo fermare il vento del repentino cambiamento e per competere dobbiamo essere flessibili, innovativi ma senza rinunciare alle nostre tradizioni. Possiamo farcela solo se abbiamo radici profonde e valori forti».
Lei ha già deciso quando lasciare?
«Sì, in modo molto graduale. Ho 66 anni. Questa azienda ha davanti 3/4 anni per consolidare i nostri progetti all'estero, in particolare States, Cina e India. Abbiamo completato la presenza internazionale ma ora dobbiamo consolidare le strutture operative estere che possono crescere e vorrei portare a compimento questi progetti. Poi a 70 anni vorrei rallentare per dedicarmi di più alla mia famiglia e al sociale. Se sono arrivato qui lo devo a Rosella che ha fatto da moglie, da mamma, da supporto costante in azienda. Non sono stato un marito e un padre molto presente e quindi vorrei dedicarmi soprattutto a fare il nonno: ho 4 nipoti, per cercare di restituire un po’ di quel tanto che ho ricevuto dalla mia famiglia».
Questo è un Paese poco attento alle imprese...
«Non vedo la stessa attenzione e considerazione che la politica e i governi hanno nei confronti delle nostre aziende nei Paesi esteri dove siamo presenti. Purtroppo il fondamentale ruolo sociale ed economico delle imprese è poco valorizzato».
Ha un sogno nel cassetto?
«In questi quarant'anni ho trovato tante persone che mi hanno aiutato. Alcuni di loro sono diventati dei veri maestri di vita e di lavoro per me: l’ingegner Luigi Buzzi fondatore della Cemb; il dottor Giovanni De Censi , presidente del Credito Valtellinese; l’ingegner Pasquale Pistorio, Ad di St Microelectronics; e il notaio Franco Panzeri, un grande professionista con un elevato senso della comunità. Una volta rallentato il mio impegno in azienda, mi piacerebbe impegnarmi in un'associazione onlus per aiutare le persone che nella vita sono state meno fortunate».
Ci può anticipare quale futuro vede per Elemaster?
«Ritengo fondamentale continuare sul cammino tracciato in questi primi 40 anni , orientati alla piena soddisfazione dei clienti, in un contesto di miglioramento e innovazione continua dei processi, dei prodotti e dei servizi. Il successo negli affari richiede preparazione, competenza, disciplina e forte volontà nel realizzare gli obiettivi che il mercato ci chiede: se tutto ciò non ci spaventa le opportunità sono allettanti oggi come in passato».