La Pasqua insegni a venirne fuori
Il messaggio del prevosto di Lecco don Bortolo Uberti

Il messaggio del prevosto di Lecco don Bortolo Uberti per questa Pasqua.
Per i più, ormai, Pasqua significa vacanze, quelle di primavera. Per alcuni è qualcosa che riguarda i cristiani (nemmeno tutti) o i ricordi di quando si era bambini. E allora, come dice il detto: Pasqua con chi vuoi! Che è un po’ come dire: tanto «vale meno!». La Pasqua, invece, è per i cristiani il fondamento della fede ma può dire qualcosa a tutti? È il cuore della vita della Chiesa ma può parlare ancora all’intera città? Da queste domande, e solo da qui, possono nascere auguri che non siano di circostanza. Il mio è che la Pasqua di Gesù insegni a tutti a «venir fuori», o meglio, a venirne fuori.
I cristiani celebrano e rivivono la memoria di Gesù che esce dal sepolcro, che esce dal luogo in cui, sappiamo bene, nessuno ne viene più fuori. Ci sono situazioni, attorno a noi, da cui è urgente venirne fuori: alcune sono planetarie e noi possiamo fare poco ma qualcosa possiamo fare; altre, invece, sono vicine a noi o dentro di noi. È urgente venir fuori da guerre che si stanno cronicizzando e allargando all’intero pianeta; ma poi anche da prospettive drammatiche di crisi economiche che aumentano la forbice tra chi è sempre più ricco e chi, invece, sempre più povero; occorre venir fuori, per quanto possibile, da una crisi ambientale che minaccia tutti, da uno sfruttamento iniquo delle risorse della terra, da ogni forma di discriminazione, intolleranza, illegalità. Dobbiamo poi venirne fuori da tutto ciò che genera affanno e ansia nella nostra vita, da ciò che infonde sfiducia, aggressività, rabbia. E si potrebbe andare avanti: ognuno ha le sue tossicità, le sue ferite, i logoramenti da cui venir fuori.
Perché questo accada, la Pasqua di Gesù ci insegna a non voltarci dall’altra parte. A non girare le spalle. Non è indifferenza, è una scelta; è una risposta o una non risposta; è un lasciare soli gli altri, è un farsi gli affari propri. Per interesse, per paura, per convenienza, per strategia. È quello che accade anche nella pasqua di Gesù. Quanti gli hanno voltato le spalle? E Gesù è rimasto solo, vittima innocente di un potere preoccupato di garantire se stesso. Ed oggi si voltano le spalle alle popolazioni in guerra o colpite da calamità, ai migranti in mare, alle donne abusate. A tanti altri innocenti e bisognosi. Voltiamo le spalle a Dio perché riteniamo di poterne fare a meno: siamo troppo occupati con noi stessi, anzi: di noi stessi. Gesù non ha fatto così. Non ha voltato le spalle alla croce e anche quando lo hanno sfidato a scendere in cambio della fede, lui, lì, è rimasto appeso. Innalzato da terra ha mostrato la faccia. Ha svelato, in quella maschera di sangue e dolore, il volto di Dio solidale con i disperati del mondo. Ha mostrato il volto del Dio della pace e della giustizia, del perdono e della verità. Così ne è venuto fuori. Non ce l’ha fatta il sepolcro ad imprigionare in sé il corpo di Gesù. Non ce l’ha fatta la morte a farlo suo: avrebbero voluto, e non solo loro, ma l’amore ha scardinato i sigilli e stappato l’ostruzione oscura. Il vangelo annuncia l’alba della risurrezione, il profumo di primavera, la gioia di un nuovo incontro.
C’è un sepolcro, tuttavia, che non si trova nel giardino sotto il Calvario, bensì dentro di noi. In quel sepolcro, che potremmo chiamare cuore o coscienza, il Signore giace morto da tempo, avvolto di bende e di aromi. È lì che occorre lasciarlo risorgere. Lì dev’essere vivo: non può restare un ricordo, nemmeno una nostalgia. Da lì, insieme, dobbiamo uscire per una umanità nuova, per un tempo di speranza.
«La risurrezione», scrive il teologo Tomáš Halík, «non è un ritorno ad uno stato precedente, ma una trasformazione radicale». Non è una pezza su una storia finita male. Non è il lieto fine, colpo di scena!, quando tutto sembra ormai perduto. Non si tratta di rianimare un cadavere, per quanto sia quello del Figlio di Dio, o di tornare indietro per ricominciare. La Pasqua, il passaggio, conduce altrove, è l’approdo ad un’altra riva e un’altra vita, già qui e ora. Questo è ciò che desideriamo: qualcosa di nuovo. Non ci interessa aggiustare il giocattolo rotto. Si tratta di rinascere. Possibilmente dall’alto. Si tratta di farlo nella vita spirituale e in quella comunitaria; negli affetti e nei progetti. Bisogna emergere, venir fuori dalla palta in cui stiamo annaspando.
Don Bortolo Uberti