un importante traguardo

"Lo sforzo mentale è sempre spiacevole?": lo studio della neuroscienziata valmadrerese Eliana Vassena

La docente universitaria, che insegna all’università Radboud di Nimega, in Olanda, è stata intervistata dalla Bbc in merito alla sua ricerca

"Lo sforzo mentale è sempre spiacevole?": lo studio della neuroscienziata valmadrerese Eliana Vassena
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Un altro importante traguardo per la neuroscienziata valmadrerese Eliana Vassena, 37 anni, già vincitrice, a soli 29 anni, del premio Marie Curie e, più di recente, del premio Bertelson. La ricercatrice è stata infatti intervistata lo scorso 8 agosto dalla nota emittente britannica Bbc in merito ad una ricerca da lei realizzata in collaborazione con i colleghi Louise David e Erik Bijleveld, nel corso della quale è stato investigato il modo in cui le persone percepiscono lo sforzo mentale. La brillante valmadrerese, psicologa e neuroscienziata, attualmente insegna psicologia e neuroscienze all’università Radboud di Nimega, in Olanda, dove vive insieme al marito e ai tre figli.

"Lo sforzo mentale è sempre spiacevole?": lo studio della neuroscienziata valmadrerese Eliana Vassena

"Nella vita di tutti i giorni ci confrontiamo spesso con situazioni che ci richiedono di impegnarci mentalmente, dal lavoro alla vita privata – spiega la ricercatrice – Intuitivamente, da un lato, verrebbe da pensare che è ovvio che compiere compiti difficili sia frustrante; dall’altro, però, spesso ricerchiamo attività che sono mentalmente intriganti: perché, quando siamo in spiaggia, invece che dormire sulla sdraio, preferiamo fare un sudoku? L’impegno mentale è sempre negativo o ci sono circostanze in cui esso è intrinsecamente piacevole? Il nostro studio voleva rispondere proprio a questa domanda".

E così, il team di ricerca ha proceduto vagliando più di 100 studi che valutassero diversi tipi di impegno mentale (dai piloti che si allenano sui simulatori di volo, passando per i medici che utilizzano la realtà virtuale per esercitarsi nelle operazioni chirurgiche, fino ai compiti cognitivi che vengono utilizzati in psicologia). Si trattava quindi di studi che richiedessero ai soggetti di trascorrere tanto tempo effettuando compiti difficili. Alla fine dei test, veniva somministrato loro il questionario Nasa Tlx, al fine di conoscere il grado di difficoltà incontrato nello svolgimento del compito, la quantità di sforzo richiesta e la frustrazione provata nell’effettuarlo.
Il risultato? "Dallo studio – spiega Vassena – è emerso che in tutte le condizioni possibili siamo comunque frustrati quando esercitiamo uno sforzo mentale; non esiste nessuna condizione in cui il soggetto non sia frustrato. Questo dato vale indifferentemente dall’età dei soggetti, dal genere e dal livello di istruzione. Abbiamo controllato anche se le diverse caratteristiche del tipo di compito richiesto esercitassero una certa influenza, ad esempio rispetto alla quantità di feedback ricevuti, relativamente all’informazione circa l’orario di inizio e di fine del compito, eccetera, ma nessuna variabile provocava un effetto significativo. L’unica differenza registrata riguarda il fatto che, negli studi di soggetti di origine asiatica, la relazione tra difficoltà e frustrazione è meno forte. Questo dato potrebbe essere collegato a ragioni culturali".

La neuroscienziata ha spiegato che lei e il suo team si aspettavano di trovare questo tipo di trend, ma ciò che li ha più sorpresi è stato il fatto che proprio in nessuna circostanza lo sforzo mentale fosse percepito come piacevole. «In termini di rilevanza dello studio – prosegue la ricercatrice valmadrerese - il messaggio che lo sforzo mentale è frustrante per tutti potrebbe essere rassicurante: non si tratta quindi di una questione personale".

Dunque, se lo sforzo mentale ci risulta sgradevole, perché ci applichiamo ugualmente? "L’idea – spiega Vassena - è che ci applichiamo in attività che sono mentalmente pesanti quando possiamo ottenere un risultato gratificante (in psicologia le chiamiamo 'ricompense'); possono essere feedback positivi di vario tipo: dal guadagno all’approvazione sociale, passando per l’aumento di autostima e la sensazione di avere il controllo della situazione… questi sono tutti fattori che stanno alla base della motivazione".
La conclusione dello studio è quindi la seguente: lo sforzo mentale non è mai piacevole intrinsecamente, ma lo è in quanto può portarci ad ottenere ciò che vogliamo. Un risultato che ha portato la neuroscienziata valmadrese a voler indagare, come prossimo obiettivo di ricerca, cosa accada quando vengono meno questi fattori che agiscono sulla motivazione, come succede nel caso in cui si soffre di ansia e di depressione.

"La mia passione per questo campo di studi - conclude Vassena - è nata dalla voglia di capire come ci motiviamo ed è arrivata poi a farmi interessare a cosa porta il nostro cervello a non funzionare bene, quando una persona non è più in grado di perseguire degli obiettivi, come accade, appunto, quando si soffre di ansia e di depressione. Chissà che in futuro non possa trovare delle cure… Sarebbe il mio sogno!".

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