la testimonianza

Lecco: i giovani degli oratori nell’inferno di Scampia

Dal 20 al 28 luglio i ragazzi hanno vissuto un’esperienza di servizio nel quartiere napoletano toccato dalla tragedia. L’educatore Eugenio Borgonovo: «Questa situazione è una sconfitta per lo Stato. E’ stata un’esperienza che ci ha lasciato tanto»

Lecco: i giovani degli oratori nell’inferno di Scampia
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I giovani degli oratori di Lecco nell’inferno di Scampia.  Sì, perché il 22 luglio scorso, giorno del terribile crollo alle Vele di Scampia,  i ragazzi di 18/19 anni degli oratori di Lecco centro, San Giovanni, Rancio e Laorca erano in Campania per un campo di servizio. Da sabato 20 a domenica 28 luglio, i giovani hanno vissuto una esperienza di condivisione e di servizio: alcuni al Cottolengo di Ducenta, uno alla Pizzeria dell’Impossibile nel rione Sanità a Napoli e uno a Scampia. Con i giovanissimi lecchesi c’era anche Eugenio Borgonovo, insegnate di 28 anni, educatore nell’oratorio San Giovanni.

Lecco: i giovani degli oratori nell’inferno di Scampia

«Eravamo divisi in tre gruppetti che hanno preso parte a diverse attività - racconta - Io con alcuni ragazzi ero a fare animazione a Scampia e nel campo Rom di Giugliano (sette persone in tutto); poi c’era un gruppo alla Pizzeria dell’Impossibile che mette in campo un percorso di riabilitazione per i carcerati; altri ancora erano al Cottolengo, una Rsa che si occupa anche di anziani disabili. Abbiamo iniziato l’attività proprio lunedì 22 e il crollo si è verificato la sera stessa. Quando è avvenuta la tragedia eravamo a Trentola Ducenta, a una quindicina di minuti di macchina dalla Vela Celeste. Martedì mattina abbiamo saputo. Avremmo dovuto prendere parte a un’iniziativa a Casal di Principe, dove avremmo dovuto ascoltare un testimone oculare dell’omicidio di don Peppe Diana, sacerdote ucciso dalla camorra, ma non siamo potuti andare perché l’organizzatore aveva dovuto recarsi a Scampia, alle Vele, a dare una mano a rimuovere le macerie. Quel pomeriggio però ci siamo recati a Scampia per fare animazione con i bambini del Lotto B (un insieme di edifici che si trovano proprio davanti al luogo della tragedia). L’area della Vela era inaccessibile, completamente delimitata dal nastro rosso e bianco delle forze dell’ordine. Tutto intono gente arrabbiata e disorientata».

Ciò perché la cronaca racconta che lì la gente vive in mezzo ai topi, nelle case piene di muffa che si raggiungono su passerelle crepate, in un palazzo con i pilastri corrosi dal tempo. Eppure la Vela Celeste era l’unica delle sette che avrebbe dovuto sopravvivere - quella messa meglio insomma - in base al progetto da 159 milioni di euro Restart Scampia.

«Ci siamo recati sul posto per un momento di preghiera per ricordare le vittime. E’ stato emotivamente molto forte perché il sacerdote conosceva da vent’anni Roberto, il ragazzo morto nel crollo che, come ci ha raccontato, partecipava attivamente alla vita della parrocchia. Tuttavia la gente presente era poca, c’erano scout o persone come noi che erano lì per fare attività di animazione. Abbiamo notato che, soprattutto fra gli adulti, c’è paura o forse disinteresse e partecipano in pochi a queste iniziative. E’ stata poca anche la partecipazione ai funerali delle vittime».
E ancora: «La gente si sente abbandonata. Abbiamo portato i bambini, con i quali facevamo animazione al momento di preghiera, e per loro era come se non fosse successo niente. Giocavano tranquilli, forse non avevano compreso la gravità della situazione, non voglio pensare che siano abituati a situazioni come queste. Ammetto che la cosa mi ha colpito».

Naturalmente il palazzone dove è avvenuta la tragedia era inavvicinabile.

«L’area era stata delimitata dal nastro rosso e bianco da parte di Polizia e Carabinieri. I sacerdoti che vivono nel quartiere dicono che non si sa neppure quante persone abitano nella Vela Celeste. Gli sfollati erano un migliaio ma nel palazzone dovevano essercene molte di meno persone»
Già perché nell’intenzione originale dell’architetto Di Salvo nei 1.192 alloggi (divisi nelle sette vele) dovevano esserci di 6.000 persone, ma alla fine ce n’erano circa il triplo. La piazza alberata, i negozi la biblioteca non sono mai stati costruiti per mancanza di fondi.

«C’è una situazione di assoluto degrado da più di quarant’anni. Dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980 numerose famiglie rimaste senza casa hanno occupato anche abusivamente gli alloggi e non è stato fatto nulla per sanare la situazione o dare altre possibilità a queste persone. Nonostante questo loro vivono con una grande dignità. Un simile degrado è sempre una sconfitta per lo Stato. Noi siamo tornati a Lecco dopo aver vissuto un’esperienza forte che però ci ha lasciato tanto».

Micaela Crippa

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