Gesù che nasce è l’abitudine più necessaria
Buon Natale. E scambiamocelo questo augurio, cosi che pronunciarlo ed ascoltarlo sia una buona abitudine che penetrando anche poco consapevolmente in noi, cambi in meglio con i buoni sentimenti del Natale il nostro cuore e il nostro modo di vivere.
Di Monsignor Davide Milani, prevosto di Lecco
È diventata solo un’abitudine. Che senso ha ormai?
Molti lo pensano a proposito del Natale, quasi nauseati da auguri che provengono da ogni dove: incontrando le persone per strada, sui profili social, per posta, per mail…
«Auguri, buon Natale» lo sentiamo centinaia di volte al giorno, per giorni e giorni, in ogni ambiente che frequentiamo, al lavoro e dalla tv, al bar e a scuola, per strada e in chiesa.
Ci sembra che a volte questi auguri siano meccanici, ripetuti senza particolari riflessioni o sincera verità. Spesso diciamo tra di noi «è solo un’abitudine, che senso ha dirselo ancora e sempre?».
Ma cosa è un’abitudine? Perché considerarla in modo solo negativo? E’ sbagliato avere la buona abitudine di farsi gli auguri a Natale? Li aboliamo? Li esprimiamo con espressioni articolate e precise solo a quelle persone con cui abbiamo un legame profondo?
Non serve riportare qui la definizione da vocabolario del termine «abitudine», lo conosciamo tutti.
Solo due sottolineature: tutta la nostra vita quotidiana si regge sulle abitudini. In quel che facciamo, in ciò che scegliamo, come ci comportiamo. Non è possibile eliminare l’abitudine dalla nostra vita.
Inoltre la filosofia, da Aristotele ad oggi, attraversando i millenni, ha riflettuto su questo concetto definendolo fondamentale per l’uomo.
Interessante avvicinare l’origine etimologica del termine che ci permette di scoprire come affondi in due esperienze a noi note: il verbo avere (nel senso di possedere) e l’abito, il vestito.
Abito e abitudine per quanto concettualmente distinti, nella pratica sono in stretta relazione. Abito deriva dal latino habitus, mentre habere significa «avere, essere fornito». Sintetizzando l’abito è un modo di essere che si ha, una disposizione a comportarsi in un determinato modo.
Le buone abitudini quindi - come farsi gli auguri a Natale - hanno a che fare con un modo di essere che abbiamo, ci caratterizza.
A ben pensarci anche la celebrazione liturgica annuale del Natale è una di queste abitudini: sia nella solennità della Basilica vaticana di San Pietro che nella più deserta e periferica della chiese ogni anno si celebra il Natale. Che lo si aspetti (me lo auguro!) o meno, che sia ben celebrato o meno.
Perché il Bambino Gesù che nasce è la più splendente e necessaria abitudine: assume questo vestito stupendo che è la nostra umanità ma non per finta, come un’apparenza, come una giacca sopra la camicia. Gesù «ha» l’umanità, in pienezza. Dio in lui diventa veramente uomo, assume la verità dell’umanità e ci mostra la bellezza di quello che anche noi possiamo essere in tutti i giorni della nostra vita, in tutte le nostre abitudini, in tutte le azioni quotidiane, in tutti i nostri modi di vivere gli incontri, i pensieri i giudizi.
Da un’infinita di abitudini quotidiane dipende buona parte del nostro essere al mondo.
Sembrano essere le azioni e le decisioni straordinarie della nostra esistenza a decidere di noi ma in realtà sono le buone abitudini «feriali».
Gesù, che incontreremo anche nei sacramenti nei giorni delle feste natalizie, ispiri e rinnovi le nostre abitudini, le faccia essere sempre più buone e ci aiuti a rimanere fedeli ad esse: perché allontanarsi da esse per noi costituirebbe un pericolo.
Come commenta Alessandro Manzoni nel capitolo XIV dei Promessi Sposi, quando parlando di Renzo che si era allontanato dalla buone abitudine della prudenza e della morigeratezza si era cacciato in molto guai: «Le abitudini temperate e oneste recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola».
Buon Natale allora. E scambiamocelo questo augurio, cosi che pronunciarlo ed ascoltarlo sia una buona abitudine che penetrando anche poco consapevolmente in noi, cambi in meglio con i buoni sentimenti del Natale il nostro cuore e il nostro modo di vivere.
Monsignor Davide Milani, prevosto di Lecco