Sorelle in fuga dalla guerra ospiti al Santuario di Montevecchia
Con loro i cinque figli: il più piccolo ha solo tre anni.
I bambini giocano a palla sul sagrato del Santuario, capaci di adattarsi alla loro nuova normalità come solo i più piccoli sanno fare. «Con loro non parliamo mai della guerra, i più grandi sanno cosa sta succedendo in Ucraina e la nostalgia è tanta, ma non credo che potremo tornare a casa molto presto».
E’ a suo agio a Montevecchia Marina, 32 anni, dallo scorso 1° aprile ospite in paese insieme ai suoi figli Denys, 16 anni, Rinat, 7 anni e Marc, 3, a sua sorella Yulia, 37 anni, con Kiril, 17, e Makar, 6. D’altra parte, lei a Montevecchia ha trascorso tutte le estati dal 1997 al 2005, ospite, per un soggiorno terapeutico, di una famiglia residente in paese. «Montevecchia è bellissima e qui stiamo bene» racconta Marina, mostrando con il sorriso i locali adiacenti al Santuario della Beata Vergine del Carmelo, che di solito ospitano ritiri spirituali, dove da qualche giorno alloggia con la sua famiglia, in attesa di potersi trasferire negli appartamenti messi a disposizione dal Comune in via San Francesco.
Sorelle in fuga dalla guerra ospitate al Santuario di Montevecchia
«Siamo arrivati qui grazie alla famiglia che per tanti anni mi ha ospitato. Con loro c’è un legame fortissimo. Sono venuti due volte a trovarmi in Ucraina, anche in occasione del mio matrimonio: è stato un giorno bellissimo e per me era fondamentale averli lì, sono la mia famiglia» spiega Marina, ricostruendo poi con un ottimo italiano il lungo viaggio che l’ha condotta a Montevecchia. «Il giorno in cui sono iniziati i bombardamenti alle 6 del mattino Yulia mi ha chiamato e quando sono uscita in strada ho sentito le prime esplosioni. Io abito a Nizhyn e lei a Pryluky, città poco distanti da Chernigov: da lei la situazione era molto più grave, così si è trasferita da noi per circa un mese. Abbiamo trascorso tanto tempo in cantina, dove mio marito aveva portato acqua, cibo e coperte perché ogni volta avevamo paura di dover restare nascosti per giorni. Trovare il cibo non era sempre facile, quando siamo riusciti a reperire della pasta ci è sembrata una cosa eccezionale» racconta la giovane mamma con semplicità.
Nel frattempo, dall’Italia, la sua famiglia “adottiva” le proponeva di partire, offrendole ospitalità: «Avevamo paura a lasciare i nostri cari, nostra mamma, la nonna, i cugini e soprattutto i nostri mariti, che non sono potuti partire perché gli uomini sono costretti a restare per difendere il territorio. Poi però abbiamo pensato ai nostri bambini, dovevamo proteggerli».
La difficile fuga dalla guerra
Così, con pochi borsoni e qualche vestito di ricambio, Marina, Yulia e i loro ragazzi hanno iniziato un lungo viaggio. «Con il pullman siamo arrivati al confine con la Polonia. Lì ci hanno accolto dei volontari, che ci hanno dato cibo, vestiti, medicinali e anche supporto psicologico, ma soprattutto hanno distratto i bambini con tanti giochi. Grazie alla Croce Rossa siamo riusciti a venire in Italia: non c’erano bus per Milano, così ne abbiamo preso uno per Rapallo, poi da lì con un treno, nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile, siamo arrivati a destinazione - ricostruisce con grande lucidità Marina - Per i primi giorni siamo stati ospitati dalla mia famiglia di Montevecchia, poi ci è stata data la disponibilità di questi locali al Santuario. Qui è bellissimo - prosegue la giovane mamma, mostrando la vista panoramica dalla piccola sala da pranzo con il sorriso, dimenticando forse per qualche istante il dramma che l’ha portata fino a qui - E’ un posto speciale, qui mi capita spesso di pregare, perché quando stai perdendo tutto ti attacchi alla fede e alla speranza, chiedi aiuto a Dio».
Mercoledì i sette ospiti del Santuario sono stati trasferiti in due appartamenti comunali, al civico 19 di via San Francesco. «Non ci aspettavamo tutto questo. So che in tanti ci hanno aiutato, hanno donato mobili per allestire gli appartamenti, hanno pulito... Le persone di Montevecchia ci stanno dimostrando tanta vicinanza e affetto. L’altra sera abbiamo mangiato all’oratorio con la mia famiglia “adottiva”, abbiamo conosciuto il sindaco Ivan Pendeggia e sua moglie e tutti con noi sono gentilissimi. Non sono obbligati ad aiutarci, eppure lo fanno con gioia» prosegue Marina con tanta commozione.
Il prossimo passaggio sarà quello di introdurre i bambini a scuola, così da permettere loro di socializzare con i coetanei: «Ne hanno bisogno. Noi qui non parliamo mai della guerra, ma il pensiero c’è sempre, è bene che stiano con altri bambini e si divertano, che pensino a giocare». I pensieri di Marina e Yulia sono invece ai mariti e ai familiari ancora in Ucraina, con cui riescono a tenersi in contatto telefonicamente: «Nostro cugino è stato chiamato a combattere. E’ una notizia che ci ha ferito molto, siamo preoccupate, anche perché ha una bimba piccola».
Nelle parole delle due sorelle c’è tanta consapevolezza e il timore che la guerra possa durare ancora a lungo: «Chissà quando potremo tornare a casa, considerando poi tutte le conseguenze dei bombardamenti. Su internet leggiamo quello che i russi stanno facendo ai bambini e alle donne, quello che hanno commesso a Bucha. E’ una cosa vergognosa, gli ucraini non hanno mai fatto nulla. Noi vogliamo solo vivere in pace a casa nostra, come sarebbe normale nel 2022».
E nell’attesa di poter tornare a casa e riabbracciare i propri cari, si godono l’affetto di un’intera comunità, che mai come prima d’ora ha saputo fare squadra e aprirsi al prossimo, dimostrando che il buon cuore e l’altruismo non conoscono confini.