8 marzo: le disparità di genere sul lavoro nel Lecchese e in Italia
Le organizzazioni sindacali territoriali continuano a sensibilizzare sul tema della disuguaglianza di genere.

Festeggiamenti per l'8 marzo rinviati a causa dell'emergenza Coronavirus, ma le organizzazioni sindacali territoriali proseguono nella sensibilizzazione sulle disparità di genere.
8 marzo: dati sulle disuguaglianze di genere
L’emergenza sanitaria del Coronavirus ha rinviato le iniziative per la giornata internazionale della donna, ma le organizzazioni sindacali territoriali Cgil, Cisl, Uil, insieme a Spi, Fnp e Uilp, proseguono nella sensibilizzazione sulle disparità di genere che continuano sia nel Lecchese sia in Italia. Ecco un report delle disuguaglianze di genere, sul lavoro, in Italia.
Il gap supera il 10%
I dati nella tabella sopra riportata tengono conto anche del fatto che le donne in Italia, oltre a subire discriminazioni salariali, svolgono spesso part time e orari inferiori, legati al lavoro di cura, con un conseguente minor reddito complessivo. Anche se dal 2016 al 2018 la differenza retributiva è diminuita del 2,7% i differenziali salariali rimangono comunque alti: infatti, anche comparando le retribuzioni tra uomini e donne, a parità di mansione e di orario, il gap è oltre il 10%.
Il gender pay gap
Quello del gender pay gap vede l’Italia non tra i Paesi peggiori in Europa, ma se a questo si aggiunge il dato che le donne che lavorano sono solo il 48,9% (contro una media Europea del 66% e di oltre il 70% del Nord Europa), l'Italia è penultimo paese davanti alla Grecia.
Abbandono del lavoro e part time involontario
Pesante è poi l’abbandono del lavoro quando arrivano i figli: dal 2011 al 2017 sono state 165mila le donne che hanno lasciato il posto di lavoro per incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e "l’esigenza della prole". Ma la cosa peggiore è che il dato è in costante crescita: nel 2011 sono state 17.175 per poi aumentare progressivamente tutti gli anni fino ad arrivare al 2017 con ben 30.672. Un fenomeno pericoloso è il part time involontario: nel 2018 ben 7 lavoratrici su 10 si sono viste costrette ad accertarlo e, secondo i dati Istat, in 10 anni sono più che raddoppiate. Il part time è sì un aiuto per molte donne che vogliono restare nel mondo del lavoro quando hanno figli, casa e famiglia da accudire,ma è un arma a doppio taglio: difficilmente si riesce a tornare a tempo pieno, ad avere possibilità di carriera ed allora si rischia di mantenere le differenze sociali ed economiche tra uomini e donne.
La condizione pensionistica delle donne
Il gap salariale, insieme al fenomeno del part time involontario e della discontinuità della carriera, si riflette inesorabilmente anche nella condizione pensionistica delle donne. L’importo medio mensile di una pensione di vecchiaia è di 788,42 euro per le donne e di 1.461,06 euro per gli uomini. La stessa “quota 100” è una misura prettamente “maschile” se si pensa che le lavoratrici del settore privato in media versano 25,5 anni di contribuzione, contro la media di 38,8 dei uomini.
Mancata autodeterminazione delle donne
Le conseguenze di tutto ciò, oltre a creare un’inaccettabile disuguaglianza di genere, non degna delle società evolute, impone alle donne una dipendenza economica che non permette scelte di autodeterminazione. Le donne risultano infatti più esposte a ricattabilità sia dentro i luoghi di lavoro che nella sfera familiare. I bassi redditi, le basse pensioni, le scarse ore contrattuali, l’assenza dei servizi adeguati a supporto delle famiglie hanno tolto alle donne la libertà di poter scegliere la propria condizione, che viene invece quindi condizionata dall'insieme di quest fattori.
I dati lecchesi
Questa condizione di estrema fragilità è alla base dell’aumento delle violenze sulle donne e della paura e
resistenza alla denuncia delle violenze. Nella sola provincia di Lecco, infatti, nel 2019 si sono registrate 63 notizie di reato per maltrattamenti, 17 violenze sessuali e 27 casi di stalking, questo nonostante le stime Istat ci dicano che solo il 12,2% denuncia le violenze del partner e solo il 6% denuncia violenze subito fuori dal contesto familiare.
Le proposte delle organizzazioni
- Servono investimenti sui servizi di cura: investimenti in asili nido e tempi prolungati nelle scuole
dell’obbligo, investimenti sui servizi agli anziani e sulle RSA; - Investimenti nei consultori e nei centri di aiuto donna, nella loro diffusione e nelle campagne di conoscenza dei servizi offerti dal territorio;
- Tavoli di confronto e monitoraggio sull'utilizzo dei contratti part time;
- Monitoraggio delle dimissioni a seguito di maternità;
- Aumento indennità di maternità facoltativa sia in termini di mesi utilizzabili sia in termini di aumento economico;
- Prevedere forti incentivi all'uso dei congedi di paternità;
- Formazione obbligatoria al rientro dalla maternità;
- Promozione della cultura di genere e prevenzione delle molestie sul luogo di lavoro attraverso la contrattazione di secondo livello;
- Le amministrazioni locali adottino un bilancio di genere, utile strumento per analizzare e valutare in ottica di genere le scelte politiche e gli impegni economici-finanziari di un’amministrazione;
- Insegnare nelle scuole educazione all'affettività e alle differenze di genere;
- Prevedere correttivi previdenziali che rendano più equo e solidaristico il sistema pubblico, quali la pensione contributiva di garanzia per le giovani e il riconoscimento del lavoro di cura.